lunedì 11 febbraio 2013

La Cucina Medievale Oggi


La cucina medievale è una cucina lontana dalla nostra, non solo per il tempo, ma anche per i gusti, le spezie, le regole, i colori, le competenze. Il rapporto infatti che la cucina ha con la società, la religione, la politica, l'economia, il commercio e la moda è direttamente proporzionale e possiamo facilmente immaginare che come la società e le sue regole attuali sono profondamente diverse da quelle del Medioevo, così è per la cucina.
Considerato che ogni territorio ha le sue caratteristiche, da quelle geografiche a quelle commerciali, abbiamo ricercato informazioni ed approfondito l'alimentazione del nostro territorio nell'epoca rievocata dalla nostra compagnia: la Padova Carrarese della seconda metà del Trecento e dei primi anni del Quattrocento.
Ci siamo basati non solo sulle fonti letterarie di quegli anni, abbiamo anche visitato i luoghi che raccolgono le testimonianze del periodo e della storia di Padova, come l'Orto Botanico. E' stato proprio all'Orto Botanico che abbiamo scoperto, ad esempio, che non appartenevano alla cucina carrarese non solo gli ingredienti tipici dell'America ma anche altri, come il grano saraceno, che giunse in Italia tramite le rotte commerciali marittime del Mar Nero solo alla fine del Quattrocento.
Attraverso la ricerca sul territorio siamo riusciti a definire quindi gli ingredienti a disposizione nell'epoca che ci interessa e come e quando questi venissero utilizzati, a seconda del padrone della tavola, dal contadino al ricco, e a seconda del periodo liturgico. Questi studi ci hanno portato a capire quanto sia errata l'idea che il mangiare medievale sia tutto un mangiare povero: alla tavola del Doge si mangiava sicuramente anche la zuppa, ma salata e speziata con maestria dal cuoco in cucina, mentre nella casa del popolano si poteva trovare la zuppa di ortaggi freschi (oggi li definiremmo biologici) cotta sul fuoco del grande camino predisposto nella stanza che probabilmente costituiva l'intera abitazione. I colori, le spezie, le sperimentazioni con ingredienti esotici erano la moda in ogni corte nobiliare e nella Padova Carrarese, così vicina a Venezia, non si faceva eccezione. Tanto la moda influenzava i nobili a tavola, tanto la creatività ispirava i cuochi medievali sulla tavola: grande valore infatti veniva attribuito alla bella presenza dei piatti, sino ad arrivare a camuffare delle carni, delle uova, dei dolci in un'altra forma, come un dolce alle mandorle modellato a riccio1 o le “ova contrafacte in quadragesima” dove le uova venivano sostituite da riso e zafferano2.
Riportiamo qui un breve ma utile riassunto delle nostre ricerche, consapevoli di non essere storici nè cuochi professionisti.
Spezie: noce moscata, chiodi di garofano, cardamomo, zafferano, zenzero, cannella, coriandolo, cumino, grani di anice, galanga (sostituita oggi dallo zenzero, più diffuso e della stessa famiglia), pepe.
Sale: bianco, grigio, scuro ( quasi rossastro, definito fuscum); sale fino e sale grosso.
Cereali: frumento, orzo, avena, farro, segale, miglio, riso.
Formaggi (più famosi): grana padano, parmigiano reggiano, caciocavallo, castelmagno, quartirolo, taleggio, gorgonzola, montasio, fontina, robiola, marzolino, mozzarella di bufala, pecorino sardo.
Legumi: piselli (anche bianchi, grigi, bruni, rampicanti, franchi), ceci, fave (e cicerchie, piccole fave oggi difficili da trovare), lenticchie, lupini, fagioli “dall'occhio” (cosìddetto per una macchia scura tipica al centro del legume, chiamato in Francia “mongette”).
Castagne: “dimestiche” (frutti grossi chiamati marroni) e selvatiche (più piccole, chiamate semplicemente castagne). Venivano usate molto nelle zuppe assieme ai legumi e , ridotte in farina, per polente e castagnacci.
Carni: cacciate e allevate. Carni suine, ovine e castrati (alla portata di tutti), vitello e selvaggina (riservati ai ricchi), uccelli di ogni tipo (civette, cornacchie, pavoni, cormorani, cicogne, aironi...), oca e gli altri animali da cortile (non il tacchino, che arrivò dall'America), bovini (non più idonei come animali da soma).
Pesce: di acqua salata e dolce, come oggi. I più pregiati erano: storione, anguilla, salmone, lampreda, trote e lucci. Molto apprezzate anche le sarde, meno costose.
Frutta e verdura: cavoli (cappuccio, romano, crespo), cipolle (bianche, rosse, verdi), porri e scalogno, cavolfiore, rapa, aglio, finocchio, ravanello, cardo, carota, zucca, spinacio ed altre foglie scure comuni (come le bietole), lattuga, scarola, invidia, crescione, asparagi, zucchina; frutti di bosco, mele, castagne, pere, fichi, pesche, ciliegie, nespoli, sorbi, prugne, albicocche, agrumi e frutta secca, soprattutto mandorle e nocciole. Erano comuni contorni anche i funghi.
Grassi e condimenti: lardo, strutto, olio d'oliva, burro, olio di sesamo; aceto, in particolare di vino o “agresto” (ricavato da uve acerbe), balsamico.
Bevande: acqua da sorgente, acqua da pozzo, spesso poco invitante e quindi migliorata con aggiunte (aceto, miele, erbe, fiori). Vino, bevanda d'eccellenza, solo nuovo (il tappo di sughero è della fine del Seicento), i vini più famosi erano d'Ascalona, di Cipro, di Gaza, greco, di Borgogna, la Malvasia; tipico era il “vino mulso”, allungato con miele o spezie per mascherare l'acidità. Famose erano anche le diverse aromatizzazioni del vino: il vino salviatium con salvia, il vino rosatum con petali di rosa, il vino Moretto con miele e more, il vino all'uovo con l'albume per schiarirlo, il vino con bacche per scurirlo. Apprezzato molto era il vino cotto ed il vino cotto spalmabile, ottenuto dall'evaporazione della parte acquosa del mosto fino a due terzi; l'ippocrasso era il vino scaldato e speziato, lasciato a macerare per due o tre giorni prima di essere filtrato. Cervogia: bevanda ottenuta dalla fermentazione dei cereali (solitamente orzo o farro) con l'aggiunta di erbe aromatiche o di luppolo. Sidro: ottenuto dalla fermentazione della frutta, i più frequenti erano a base di mele e di pere. Infine i distillati, tra cui in particolare l' “aqua vitae”, la cui origine viene attribuita agli alchimisti della Scuola Salernitana per uso medico già nel XII secolo.
Pane e pasta: il pane era realizzato con ogni farina, raramente con quella di castagne, spesso con una miscela di due o tre farine, a seconda della possibilità; a causa della tassa obbligatoria per l'uso del forno comune erano diffuse le farinate, grano pestato nel mortaio, cotto e mescolato con acqua o latte, tra cui le “pizze”, ossia delle focacce salate o dolci ( solitamente riferite agli affitti pagati dai mugnai per il mulino). La pasta, fresca o secca, poteva essere fritta, arrostita o lessa; a seconda delle regioni lo stesso nome di una pasta poteva rappresentare tipologie differenti, come il maccherone, il quale poteva indicare una pasta ripiena, una pasta lunga a strisce (tipica di Roma), una pasta simile ai bucatini ( in Sicilia) e così via. Il condimento più diffuso era a base di burro, formaggio e spezie, tra cui anche cannella e zucchero. Diffusa in tutte le regioni era la tecnica di rivestimento dei cibi in fogli di pasta, dalla torta salata al pesce in sfoglia.
Dolcificanti: zucchero da canna e miele.
Buona cucina!
Francesca



1Le viander de taillevent, XV sec.
2Maestro Martino, Libro de arte coquinaria, XIV sec.

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