La cucina medievale è
una cucina lontana dalla nostra, non solo per il tempo, ma anche per
i gusti, le spezie, le regole, i colori, le competenze. Il
rapporto infatti che la cucina ha con la società, la religione, la
politica, l'economia, il commercio e la moda è direttamente
proporzionale e possiamo facilmente immaginare che come la società e
le sue regole attuali sono profondamente diverse da quelle del
Medioevo, così è per la cucina.
Considerato che ogni
territorio ha le sue caratteristiche, da quelle geografiche a quelle
commerciali, abbiamo ricercato informazioni ed approfondito
l'alimentazione del nostro territorio nell'epoca rievocata dalla
nostra compagnia: la Padova Carrarese della seconda metà del
Trecento e dei primi anni del Quattrocento.
Ci siamo basati non solo
sulle fonti letterarie di quegli anni, abbiamo anche visitato i
luoghi che raccolgono le testimonianze del periodo e della storia di
Padova, come l'Orto Botanico. E' stato proprio all'Orto Botanico che
abbiamo scoperto, ad esempio, che non appartenevano alla cucina
carrarese non solo gli ingredienti tipici dell'America ma anche
altri, come il grano saraceno, che giunse in Italia tramite le rotte
commerciali marittime del Mar Nero solo alla fine del Quattrocento.
Attraverso la ricerca sul
territorio siamo riusciti a definire quindi gli ingredienti a
disposizione nell'epoca che ci interessa e come e quando questi
venissero utilizzati, a seconda del padrone della tavola, dal
contadino al ricco, e a seconda del periodo liturgico. Questi studi
ci hanno portato a capire quanto sia errata l'idea che il mangiare
medievale sia tutto un mangiare povero: alla tavola del Doge si
mangiava sicuramente anche la zuppa, ma salata e speziata con
maestria dal cuoco in cucina, mentre nella casa del popolano si
poteva trovare la zuppa di ortaggi freschi (oggi li definiremmo
biologici) cotta sul fuoco del grande camino predisposto nella
stanza che probabilmente costituiva l'intera abitazione. I colori, le
spezie, le sperimentazioni con ingredienti esotici erano la moda in
ogni corte nobiliare e nella Padova Carrarese, così vicina a
Venezia, non si faceva eccezione. Tanto la moda influenzava i nobili
a tavola, tanto la creatività ispirava i cuochi medievali sulla
tavola: grande valore infatti veniva attribuito alla bella presenza
dei piatti, sino ad arrivare a camuffare delle carni, delle uova, dei
dolci in un'altra forma, come un dolce alle mandorle modellato a
riccio
o le “ova contrafacte in quadragesima” dove le uova venivano
sostituite da riso e zafferano.
Riportiamo qui un breve
ma utile riassunto delle nostre ricerche, consapevoli di non essere
storici nè cuochi professionisti.
Spezie: noce
moscata, chiodi di garofano, cardamomo, zafferano, zenzero, cannella,
coriandolo, cumino, grani di anice, galanga (sostituita oggi dallo
zenzero, più diffuso e della stessa famiglia), pepe.
Sale: bianco,
grigio, scuro ( quasi rossastro, definito fuscum); sale fino e sale
grosso.
Cereali: frumento,
orzo, avena, farro, segale, miglio, riso.
Formaggi (più
famosi): grana padano, parmigiano reggiano, caciocavallo,
castelmagno, quartirolo, taleggio, gorgonzola, montasio, fontina,
robiola, marzolino, mozzarella di bufala, pecorino sardo.
Legumi: piselli
(anche bianchi, grigi, bruni, rampicanti, franchi), ceci, fave (e
cicerchie, piccole fave oggi difficili da trovare), lenticchie,
lupini, fagioli “dall'occhio” (cosìddetto per una macchia scura
tipica al centro del legume, chiamato in Francia “mongette”).
Castagne:
“dimestiche” (frutti grossi chiamati marroni) e selvatiche (più
piccole, chiamate semplicemente castagne). Venivano usate molto nelle
zuppe assieme ai legumi e , ridotte in farina, per polente e
castagnacci.
Carni: cacciate e
allevate. Carni suine, ovine e castrati (alla portata di tutti),
vitello e selvaggina (riservati ai ricchi), uccelli di ogni tipo
(civette, cornacchie, pavoni, cormorani, cicogne, aironi...), oca e
gli altri animali da cortile (non il tacchino, che arrivò
dall'America), bovini (non più idonei come animali da soma).
Pesce: di acqua
salata e dolce, come oggi. I più pregiati erano: storione, anguilla,
salmone, lampreda, trote e lucci. Molto apprezzate anche le sarde,
meno costose.
Frutta e verdura:
cavoli (cappuccio, romano, crespo), cipolle (bianche, rosse, verdi),
porri e scalogno, cavolfiore, rapa, aglio, finocchio, ravanello,
cardo, carota, zucca, spinacio ed altre foglie scure comuni (come le
bietole), lattuga, scarola, invidia, crescione, asparagi, zucchina;
frutti di bosco, mele, castagne, pere, fichi, pesche, ciliegie,
nespoli, sorbi, prugne, albicocche, agrumi e frutta secca,
soprattutto mandorle e nocciole. Erano comuni contorni anche i
funghi.
Grassi e condimenti:
lardo, strutto, olio d'oliva, burro, olio di sesamo; aceto, in
particolare di vino o “agresto” (ricavato da uve acerbe),
balsamico.
Bevande: acqua da
sorgente, acqua da pozzo, spesso poco invitante e quindi migliorata
con aggiunte (aceto, miele, erbe, fiori). Vino, bevanda d'eccellenza,
solo nuovo (il tappo di sughero è della fine del Seicento), i vini
più famosi erano d'Ascalona, di Cipro, di Gaza, greco, di Borgogna,
la Malvasia; tipico era il “vino mulso”, allungato con miele o
spezie per mascherare l'acidità. Famose erano anche le diverse
aromatizzazioni del vino: il vino salviatium con salvia, il vino
rosatum con petali di rosa, il vino Moretto con miele e more, il vino
all'uovo con l'albume per schiarirlo, il vino con bacche per
scurirlo. Apprezzato molto era il vino cotto ed il vino cotto
spalmabile, ottenuto dall'evaporazione della parte acquosa del mosto
fino a due terzi; l'ippocrasso era il vino scaldato e speziato,
lasciato a macerare per due o tre giorni prima di essere filtrato.
Cervogia: bevanda ottenuta dalla fermentazione dei cereali
(solitamente orzo o farro) con l'aggiunta di erbe aromatiche o di
luppolo. Sidro: ottenuto dalla fermentazione della frutta, i più
frequenti erano a base di mele e di pere. Infine i distillati, tra
cui in particolare l' “aqua vitae”, la cui origine viene
attribuita agli alchimisti della Scuola Salernitana per uso medico
già nel XII secolo.
Pane e pasta: il
pane era realizzato con ogni farina, raramente con quella di
castagne, spesso con una miscela di due o tre farine, a seconda della
possibilità; a causa della tassa obbligatoria per l'uso del forno
comune erano diffuse le farinate, grano pestato nel mortaio, cotto e
mescolato con acqua o latte, tra cui le “pizze”, ossia delle
focacce salate o dolci ( solitamente riferite agli affitti pagati dai
mugnai per il mulino). La pasta, fresca o secca, poteva essere
fritta, arrostita o lessa; a seconda delle regioni lo stesso nome di
una pasta poteva rappresentare tipologie differenti, come il
maccherone, il quale poteva indicare una pasta ripiena, una pasta
lunga a strisce (tipica di Roma), una pasta simile ai bucatini ( in
Sicilia) e così via. Il condimento più diffuso era a base di burro,
formaggio e spezie, tra cui anche cannella e zucchero. Diffusa in
tutte le regioni era la tecnica di rivestimento dei cibi in fogli di
pasta, dalla torta salata al pesce in sfoglia.
Dolcificanti:
zucchero da canna e miele.
Buona cucina!
Francesca